mercoledì 13 dicembre 2006

IL GRANDE BARBO


13/12/2006: Il grande BARBO
di Alessandro Scarponi

La sveglia, implacabile, suona alle 4.30.
Una robusta colazione mi da la carica giusta per affrontare una giornata di pesca nella speranza di provare più emozioni possibili con la canna e la lenza.
La meta che devo raggiungere, per queste emozioni, è una sola: Galeata, paese situato sulle montagne forlivesi, lassù dove scorre il mitico fiume Bidente.
E la nebbia, di questo strano inverno che non somiglia per niente ai freddi e nevosi mesi di dicembre di qualche anno fa, si fa sempre più fitta e pesante.
Grazie alla buona conoscenza della strada riesco a non perdermi, ma per farlo devo andare a non più dei trenta km all’ora, infatti riesco a vedere a malapena il ciglio del fosso.
E mentre il cartello segnaletico indica Meldola decido di fermarmi in un bar, solitamente frequentato da pescatori “duri a morire”, per farmi un buon caffè e magari due chiacchere.
Al bar ho sperato di trovare qualcuno, anche per avere alcune “dritte” su qualche posto buono da pesca, ma così non è stato quindi, decido di riprendere la provinciale bidentina.
Dal buio e dalla nebbia spunta Civitella di Romagna e dopo alcuni chilometri raggiungo la mitica Galeata.
Sono molto affezionato ad alcuni di questi posti, che frequento da tanti anni, perché sono riuscito sempre a divertirmi e a provare ogni volta emozioni nuove.
Io non sono un pescatore da fiume, quindi non conoscendo tanti posti, mi indirizzo quasi sempre nelle mie due/tre buche preferite.
Il fascino del fiume è anche quello; ogni posto di pesca ha una denominazione legata a qualche storia come per esempio la buca detta “ai sedili”, “al motore”, “all’acqua che bolle”, “dove gocciola l’acqua”.
Arrivo davanti una fontana antica, situata all’inizio del paese di Galeata, dove di fronte c’è una strada che scende al fiume.
Il buio ancora “pesto” e la nebbia che bagna più di una pioggia fitta rendono spettrale l’inizio della giornata.
Sono le sei del mattino e penso tra me e me che forse mi sono alzato troppo presto ma soprattutto ripenso al caldo del letto e ancora una volta mi chiedo chi me lo abbia fatto fare.
Mah… la forza della pesca.
Mi incammino tra sassi e rovi secchi verso valle e dopo diversi minuti decido di fermarmi in una buca stupenda a valle del ponte di Galeata chiamata “buca dell’acqua che bolle”.
Arrivo sul posto in un silenzio irreale che quasi mette paura.
Ma queste “femmine” sensazioni vengono spazzate via da un mio sussulto improvviso “dovè la sacca dei bigattini? Porcaccia miseria!! …mi rendo conto di averla dimenticata appesa all’auto.
Dopo una sfilza di “ave maria e pater noster” che avrebbero impaurito anche un turco, dopo non meno di dieci minuti, prendo coraggio e risalgo il fiume fino alla mia auto e torno indietro tutto d’un fiato con un animo pari a quello di un cinghiale ferito.
Il freddo, che mi aveva mezzo congelato di prima mattina, era sparito e con la sacca piena di carne da un chilo e mezzo appesa al collo sono riuscito a tornare padrone di me stesso e spavaldo come tutti i pescatori romagnoli sanno essere prima di cominciare una battuta di pesca.
Quella spavalderia che regolarmente svanisce a fine battuta di pesca, cartina tornasole di una pescata poco fruttuosa.
Adesso un po’ di chiarore inizia a filtrare tra gli alberi del bosco circondante e riesco finalmente a vedere il fiume che come sempre si presenta bello e chiaro.
La nebbia, che prima maledivo, ora sembra dare al paesaggio una dimensione da favola, l’acqua corre via veloce e la mia emozione è già alle stelle.
Ho con me una canna bolognese di 6 metri montata con filo del 14 diretto, la lenza è già pronta con un piccolo galleggiante a pera rovesciata da 0,75 grammi e la piombatura, visto la corrente, decido di tenerla bassa, senza troppi fronzoli, da barbi vecchia maniera.
Dopo avere fatto alcune passate senza esca all’amo, giusto per vedere come viaggia la lenza in quella corrente del fiume, decido di iniziare la mia pescata.
Guardo l’orologio e mi accorgo che sono già le sette e mezzo.
Il buio già da un pò ha lasciato spazio alla luce e anche la nebbia pesa di meno e comincia a rarefarsi.
Si odono anche i rumori della natura che si rimette in moto e oltre allo scrosciare dell’acqua ascolto il gracchiare dei corvi in volo.
Qualche pesce salta sull’acqua come se volesse farsi notare.
Insomma è ora di pescare!
Lancio subito “manate” di bigattini a monte nella speranza di ritrovarmeli davanti in zona pesca, carico l’amo del 16 forgiato con quattro bigattini bianchi e via!
Dopo tre passate a vuoto comincio a ragionare già << sarò in pesca nel posto giusto? ….e se il filo è troppo grosso per un’acqua così limpida? ….e se il pesce che ha saltato prima in superficie avesse avvertito gli altri del pericolo pescatore?>>
Tutte queste semenze vengono però spazzate via da un improvviso strattone alla canna.
Assorto nei miei pensieri mi sono un po’ deconcentrato e così, là sotto, un bel pesce aveva deciso di attaccare la mia esca senza nessun preavviso.
E’ una scossa che mi riporta subito in me e riprendo fiducia dicendo tra me e me: “ci siamo!”.
Continuo a lanciare tanti bigattini a monte sperando di “muovere” il pesce.
Mi dico, sono venuto per catturare i grossi barbi di Galeata e così non posso andare tanto per il sottile ne con la lenza ne con la pasturazione, e giù ancora manate di carne!
La mia passata adesso è perfetta, accompagno la lenza proprio come quelli che sono capaci di pescare nell’acqua che scorre, galleggiante davanti e punta della canna dietro a trattenere ed accompagnare la sua corsa.
Improvvisamente un’affondata decisa e rabbiosa del mio galleggiante mette a dura prova le mie capacità di reazione.
Ferro forte con la canna, che riesce a tranciare anche un ramo di rubino sopra la mia testa e aggancio qualcosa.
Non si muove penso sarà il fondo, un ramo di albero sommerso ma poi inizia a spostarsi e così penso che i rami non possono muoversi, ma cosa ho preso una lavatrice che rotola sul fondo?.
Quello che tira là sotto non è un pesce ma sembra un qualcosa di enorme che si sposta lento, deciso, senza cambiare direzione; ma però punta dritto verso un albero sommerso che riesco ad intravedere in fondo alla buca.
Mi dico, non deve arrivare laggiù perché tra quei rami la vince lui.
Allora chiudo la frizione e comincio a tirargli da cattivo nelle “ganasce”.
Ma il cattivo lui ancora non l’aveva fatto è così la sfida inizia alla maledetta.
Gli scossoni alla mia canna raggiungono il settimo grado della scala Mercalli, il filo taglia l’acqua con vibrate a zig zag da far paura, poi quel coso enorme punta deciso aumentando per giunta forza e velocità e vuole andare diritto verso l’albero sommerso.
Sono costretto a “sfrizionare” un po’ perché altrimenti quello mi rompe anche la canna.
Mancano ormai pochi metri alla sua meta alberata e così decido di chiudere totalmente la frizione della serie “o la va o la spacca” tanto mi dico se arriva tra le rame dell’albero lui si libera comunque.
Così decido di affogare la punta della canna sott’acqua piegata da far paura e miracolo …. il pesce o la lavatrice improvvisamente fa una virata verso la sponda che ai miei occhi risulta pulita da ingombri sommersi.
La lotta continua tra l’uomo, (che sono io), e il pesce (che è lui), le “smusate” verso il costone roccioso si susseguono forse nel tentativo di sfregare il filo contro un angolo tagliente di roccia ma oramai il grosso delle sue forze sono state consumate.
Anche il mio braccio d’altronde è stato messo sotto sforzo a tal punto che l’indolenzimento sta diventando sempre più fastidioso.
Insomma riesco finalmente a vedere la sagoma scura del pesce che passa sotto il pelo dell’acqua, e capisco dalla forma allungata di avere agganciato una vera e propria locomotiva fluviale.
Mi convinco che non era una lavatrice ma solo perché la carrozzeria non è bianca e lui ce l’ha scura.
Altre due virate sotto riva, dove la profondità e la corrente dell’acqua è minore, e lo vedo bene adesso.
E’ un barbo E.S.A.G.E.R.A.T.O.!!!!!
Ma come faccio a farlo entrare nel guadino è troppo lungo, ….come faccio a farlo stare nella nassa è troppo piccola, ….cazzo proprio oggi che sono solo vengo a prendere un pesce così enorme e se lo dico chi mi crede?
In somma mentre discuto di scemenze tra me e me, con il barbo che pareva “andato”, decido di portarlo quasi a riva e di fare come fanno i veri “fiumaroli” che il guadino non ce l’hanno mai, loro il pesce lo prendono con le mani!
E si ma a conti fatti posso utilizzare solo una mano perché con l’altra devo tenere la canna e allora come faccio a salparlo?
Mentre mi rilasso un po’ con i miei interrogativi il pesce che sarà stato vicino ai tre chili di peso (MOSTRUOSO) all’improvviso riparte al largo con la stessa energia di prima.
Adesso capivo il suo atteggiamento di prima! non era sfinito, anzi, stava buono buono per ricaricare le molle per il secondo tempo del match.
Incazzato nero? No di più!! Fate conto che un cavallo con un gatto attaccato alle palle sia niente!
Parte a razzo e stavolta inizia a lottare saltando fuori dall’acqua come fanno i blu marlin nell’oceano pacifico è mi dico < sono andati a scuola all’estero per applicare simili tecniche difensive?> l’acqua della buca era talmente agitata con onde simili a quelle causate da uno tsunami.
Lui tira sempre più forte ed io pure, stavolta non ho scampo così decido di affidarmi al detto dei pescatori più audaci “o dent o ganascia” .
Chiudo totalmente la monopola della frizione ed impugno la canna a due mani come quelli che fanno il surf casting dalla barca quando pescano i tonni ma non lo intimorisco per niente.
Sembra avere una forza inesauribile nel motore, un fuoristrada con le 4 ruote motrici e la trazione ridotta. Una forza della natura.
Ecco se volessi paragonare il barbo ad un animale terrestre lo assocerei al bisonte delle praterie del west america.
A un certo punto una sensazione interiore si fa strada dentro di me, la stessa che hanno i medici in sala operatoria quando la linea dell’encefalogramma si avvicina al piatto e gridano: “lo perdo! lo perdo!
E così purtroppo è stato con la differenza che la linea del mio encefalogramma per un attimo è diventata piatta ma dopo averlo perso.
Il re del fiume, dopo un’ora di dura lotta con salti forsennati, capriole e cavalcate subacquee era riuscito a vincere il pescatore.
Sono stato cinque minuti seduto sull’argine per riprendermi fisicamente e per riflettere.
Alla fine dopo lunga meditazione sono riuscito a trovare il lato positivo in questa avventura.
Il pesce anno dopo anno diventa sempre più intelligente e affina le sue tecniche di difesa grazie alle quali riesce a sopravvivere più a lungo di ieri.
E sapete perché tutto questo è positivo? Perché là dove scorre la corrente del fiume, nella buca dove l’acqua ribolle, nel paese di Galeata ci sarà sempre un conto in sospeso tra me, apprendista stregone pescatore di fiume, e il BARBO PLEBEJUS il re del fiume.
Ormai stanco e convinto che dopo tutto quel caos non avrei preso più niente raccolgo mesto le mie cose e da sconfitto faccio ritorno a casa.
La spavalderia che animava la mia mattina era sparita anche se comunque avevo conservato un ricordo di una bella pescata che un giorno potrò raccontare a qualche nipote …e sono sicuro che la stessa cosa la farà anche il mio amico barbo un giorno appoggiato sul fondo del fiume dietro un grande sasso con una decina di piccoli barbi giovani.
Ognuno racconterà la sua versione e la vita nel fiume continuerà, sempre!

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